Non puoi respirare sott'acqua.
Di tutte le cose sorprendenti che ho scoperto durante la prima lezione di nuoto, questa è stata la più sconvolgente. Non sapevo se gioire per l'acquisizione di una nozione scientifica che può rivelarsi utile in alcune circostanze o se incazzarmi con voi per avermelo sempre tenuto nascosto.
È successo circa un mese fa, quando - a quasi quarant'anni di età - ho deciso che avrei imparato a nuotare. Per la prima volta.
Sono andato in piscina, ho messo il costume, ho finto di non essere terrorizzato mentre i piccolissimi bambini della lezione precedente uscivano. Ho seguito diligentemente le istruzioni di Sara, che posso riassumere in: prendi la tavoletta e sbatti i piedi fortissimo.
E perché non ce lo hai detto prima?, direte voi.
Perché mi vergogno.
Mi vergogno di non saper fare una cosa che sanno fare in tanti, e mi vergogno di non aver mai superato questo limite.
Non esagero se vi dico che è stata l'esperienza meno confortevole della mia vita adulta: la difficoltà nei movimenti, la fatica fisica, il fiatone, il corpo nudo, la giovanissima Sara che alza il pollice e grida «bravo Andre!» anche quando non lo sono affatto.
E la respirazione. Madonna, che fatica respirare.
Non riesco a capire come funziona questa cosa che si inspira sopra l’acqua (dalla bocca) e si espira sotto (dal naso). Non me ne faccio una ragione. Razionalizzo. Cerco spiegazioni. Pongo obiezioni. Dallo sguardo di Sara capisco che è la prima volta che le vengono poste. Mi guarda confusa, tutto quello che riesce a dire è un «Eeeeh» allargando le braccia. Poi, cerca reminescenze di frasi-motivazionali-per-casi-senza-speranza e dice: «Non ti preoccupare, ce la farai».
Ad ogni modo, da qualche settimana ogni mercoledì sera vado in piscina, aspetto che i bambini escano dall'acqua, mi chiedo come facciano quelle piccole bestie di satana a stare a galla, reprimo la tentazione di fermarne uno e domandargli quanti iscritti ha su Youtube solo per dimostrare che c'è almeno una cosa in cui sono migliore di lui. Poi prendo la tavoletta, entro in acqua e comincio a sbattere i piedi come se non ci fosse un domani.
Non ricordo dove l'ho letto (forse quella vecchia volpe di Raffaele): la cosa di uscire dalla zona di comfort è una cazzata.
Non dobbiamo uscire dalla zona di comfort, dobbiamo allargarla.
Dobbiamo allargare i confini di ciò che siamo e accogliere le situazioni che fanno paura. Quello che spaventava, smette di spaventare. E inizia a fare crescere.
Essere comodi nello scomodo.
Finita la lezione di solito mi fermo mezz'ora in più. Mi piace stare da solo, a sperimentare le cose che ho imparato.
L'ultima volta ho capito una cosa: non sarei arrivato dall'altra parte della fottuta piscina capendo con la testa, che il cervello era ingombrante e che Sara non sapeva rispondere alle mie obiezioni perché non si nuota con la logica, ma sbattendo i piedi fortissimo.
Ho pensato che trattenevo ogni movimento perché mi vergognavo. Perché volevo essere invisibile. Perché meno schizzi avrei fatto, meno persone mi avrebbero notato.
Così mi sono detto che sarei arrivato dall'altra parte, avessi dovuto bere tutta l'acqua del mondo. Che non mi interessava farlo bene, ma solo non fermarmi. Fossi anche annegato nel frattempo.
Ho cominciato a nuotare, ignorando quanto fossi scoordinato e quanto potessi apparire ridicolo. Tiravo l'aria dentro e la buttavo fuori, forte come se dovessi svuotare la piscina. Prendevo a schiaffi l'acqua con una violenza tale da farle passare la voglia di non risolvere la questione col dialogo.
E ho bevuto. Madonna santa se ho bevuto.
Dalla bocca, dal naso e da altri fori dai quali non credevo si potesse bere. Sono diventato una massa informe generatrice di bolle che dimenava arti senza un senso.
Sono arrivato dall'altra parte senza accorgermene.
La prossima volta chiederò a Sara se lo stile ‘mi-dimeno-e-arrivo-anche-se-muoio’ è approvato dalla Federazione. Credo risponderà alzando il pollice e gridando «bravo Andre!».
Io non imparerò mai a nuotare. Questo è matematico.
E vi conosco mascherine: non provate a scrivermi i vostri messaggi motivazionali col pollice alzato e i «bravo Andre!», perché la mia è una certezza.
Ma sapete che c'è?
C'è che va bene così. C'è che voglio imparare ad essere comodo nello scomodo. C'è che possiamo non riuscire. C'è che possiamo fare qualcosa fatto male. C'è che 'fatto male' è tutto nella nostra testa.
Prima o poi porterò in piscina la targhetta d'argento di Youtube, quella dei 100K iscritti, radunerò intorno a me le piccole bestie di satana galleggianti e dal bordo piscina gli mostrerò che ho fatto anche cose buone.
E niente, i pensieri negativi in fondo sono solo pensieri: se silenziamo quella vocina che dice «non puoi farcela», «non è abbastanza», «non va bene», diventiamo inarrestabili.
Un po' come respirare sott'acqua.
Non ho mai afferrato del tutto come mai mi piaccia così tanto l’anguilla, ma ancora oggi (devo ricordarvi quanti anni ho?) mi scopro ad ascoltarla a tutto volume cantando il ritornello a squarciagola (rigorosamente col dito medio alzato).
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Per concludere, in questi giorni pensavo a un nuovo modo per farmi del male e l’Everesting mi sembra davvero appropriato!
Ehi! Questa mail è scritta a quattro mani con Silvia Platania. Grazie. :)
Grazie che state con me per così tanto tempo!
A presto,
Andrea
Andrea, ha 40 anni ho deciso di realizzare un sogno e iniziare a suonare il piano pensando a lungo che sarebbe stato impossibile per me coordinare mano destra e sinistra per lo meno non prima di qualche anno... Dopo un anno mi trovo a suonare, e anche discretamente bene, il tema di Amelie. È stata un'enorme lezione di vita per me, il nuoto lo sarà per te! 🙂
PS: mai sfidare i bambini di oggi a chi ha più follower o iscritti che potresti avere brutte sorprese... 😆
Posso essere il tuo opposto?
Ho preso 4 brevetti di nuoto e ho fatto il corso di salvamento... e non mi piace nuotare.
:-) :-) :-)